Storie dell’altra Italia
DANIELE BIACCHESSI GANG MASSIMO PRIVIERO
STORIE DALL’ALTRA ITALIA
Live Bologna Stazione 30/09/11(cd trailer Paolo De Nicola)
Live Radio 24 gr spettacoli 02/02/12(audio)
Live Milano Camera del Lavoro Biacchessi – Gang – Priviero 28/10/11 (audio)
Live Milano Camera del Lavoro Biacchessi – Gang – Priviero 28/10/11 (video Antonio Puhalovic)
Live Show Milano Lifegate Biacchessi – Gang – Priviero 06/06/11(audio)
Live Show Piacenza Teatini Biacchessi – Gang – Priviero 25/03/11(audio)
Gran finale live Piacenza Teatini Biacchessi – Gang – Priviero 25/03/11(audio)
Live Show Piacenza Teatini Biacchessi – Gang – Priviero 25/03/11(audio e video )
Live Show Piacenza Teatini Biacchessi – Gang – Priviero 25/03/11(audio e video )
Live Backstage Piacenza Teatini Biacchessi – Gang – Priviero 25/03/11(foto)
Storie di alpini e di lunghe ritirate
Luglio 1941. Accanto ai tedeschi e contro i sovietici, Mussolini invia il Corpo di Spedizione Italiano in Russia: 58.800 soldati, 2.900 ufficiali che si portano dietro pezzi di artiglieria da campagna, anticarro, contraerei, automezzi di ogni tipo. Viene schierato nell’Ucraina meridionale alle dipendenze dei tedeschi.
Nel luglio 1942 diventa parte dell’Armir, Armata Italiana in Russia. Già a settembre dello stesso anno, lo sforzo militare del regime fascista è impressionante: 230.000 uomini, 150.000 schierati in prima linea contro i sovietici, accanto ai nazisti.
L’Armir viene destinata alla protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado.
Tra novembre e dicembre 1942, l’Armata Rossa lancia una potente offensiva contro italiani, tedeschi, rumeni e ungheresi. I sovietici impiegano truppe corazzate, sfondano le linee italiane, annientano la fanteria. Dal gennaio 1943 inizia la dolorosa e umiliante ritirata dell’Armir.
I soldati lasciano i luoghi di battaglia e si avviano alla lunga marcia, tra temperature impossibili, bufere e vento, incursioni frontali dei sovietici e dei partigiani nelle retrovie.
Dei 58.000 alpini partiti ne tornano solo 11.000: 25.000 vengono uccisi sulle rive del Don, 60.000 muoiono nei campi di prigionia.
Scriveva Mario Rigoni Stern.
……..Allora mi accorgo dell’uomo morto sulla soglia e vedo che lì vicino il pavimento è tutto rosso di sangue. Non so dire quello che ho provato, vergogna o disprezzo di me, dolore per loro o per me. Mi precipitai fuori come se fossi il colpevole. Vi è di nuovo adunata. Stavolta è davanti alla chiesa. Si vedono abbandonati dei camion italiani carichi di sacchi di patate secche tagliate a fette e mi riempio le tasche di queste. Sulla neve vi sono pure due botti di vino. Una è sfondata con dentro il vino gelato tutto a scaglie rosse. Mi riempio la gavetta di scaglie rosse e me ne metto qualcuna in bocca. Un ufficiale dice: – State attenti, potrebbe essere avvelenato-. Ma non era affatto avvelenato. I tedeschi si prendono tutti i prigionieri russi che abbiamo fatto, si allontanano e poi sentiamo numerose raffiche e qualche colpo. Nevica.
Storie di Resistenza
Dal 1943 al 1945, l’Italia occupata dai nazisti diventa un enorme mattatoio dove gli oppositori al regime fascista vengono arrestati illegalmente dalle polizie ufficiali, da quelle segrete, dalle tante compagnie di ventura disseminate nella Repubblica Sociale Italiana.
Partigiani ed ebrei vengono trasferiti in via Tasso a Roma, a Villa Triste a Firenze, in via Bolognese 67, a Villa Fossati a Milano in via Paolo Uccello 15, a Trieste in un edificio di via Bellosguardo, a Genova alla Casa dello Studente, a Biella a Villa Schneider.
E ancora trascinati negli scantinati di palazzi, retrobottega di negozi, rinchiusi in pensioni anonime come Oltremare in via Principe Amadeo 2 e Jaccarino in via Romagna a Roma, trasformati in luoghi di detenzione come il palazzo Carmagnola di via Rovello a Milano, dove la tortura è una pratica sistematica per i prigionieri.
Contro gli antifascisti si specializzano i peggiori aguzzini.
Sono i sanguinari delle strutture degli apparati dello Stato della RSI, gli assassini delle compagnie di ventura, i contabili della morte del fascismo.
C’è l’Esercito Nazionale Repubblicano con la Guardia nazionale Repubblicana di Renato Ricci e le Brigate nere di Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano.
Ci sono i militari della Legione SS Italiana, unità affiliata alle Waffen SS alle dipendenze di Karl Wolf.
Ci sono i battaglioni operativi della Xmas di Junio Valerio Borghese.
C’è il raggruppamento paracadutisti Nembo.
A Roma in via Tasso, i fascisti collaborano con Herbert Kappler e la sua Sicherheitdienst polizei, SIPO.
A Firenze è operativa la 92esima legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, la banda di Mario Carità.
A Trieste lavora l’ Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia.
A Cuneo e a Milano è attiva la Legione Autonoma Mobile Ettore Muti di Franco Colombo.
E sempre nella capitale della Resistenza arriva da Roma Pietro Koch, l’allievo che supera il maestro Mario Carità.
Pietro Koch ha il crimine nel sangue.
Dopo l’8 settembre 1943, si iscrive al Partito Fascista Repubblicano. ed entra nella banda di Mario Carità a Firenze.
Cattura in un albergo del centro il colonnello Marino, aiutante di Mario Caracciolo da Feroleto, ex comandante della V Armata dell’esercito che difende Firenze dalla furia dell’occupazione nazista.
Il colonnello Marino viene torturato nel palazzo di via Bolognese 67.
Koch gli estorce l’informazione che vale una carriera.
Mario Caracciolo da Feroleto si nasconde nel convento francescano di San Sebastiano, a Roma, sotto la protezione del Vaticano.
Allora Koch si sposta a Roma.
Il capitano delle SS di via Tasso Kurt Schutze, con il benestare di Herbert Kappler, lo autorizza a violare il territorio Vaticano.
Koch arresta il generale e lo trasferisce a Firenze.
E’ la sua prima vittoria contro gli antifascisti.
Con questa azione da commando, ottiene il via libera definitivo dal Capo della Polizia della RSI Tullio Tamburini per costituire un proprio Reparto Speciale di Polizia.
Così nasce la banda Koch.
Vi aderiscono i preti Pasquino Perfetti e Ildefonso Troya, l’avvocato Augusto Trinca Armati, il giornalista Vito Videtta, gli attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, l’esperto dei servizi segreti Francesco Argentino, il vice comandate operativo Armando Tela, il conte Guido Stampa, Alba Cimini, Marcella Stopponi, la soubrette Daisy Marchi, Lina Zini, Camilla Giorgiatti, gli agenti Cabruccio Cabrucci, Nestore Santini, Francesco Belluomini, Vito Videtta, l’ex gappista Guglielmo Blasi e altri.
La banda Koch è una confluenza di psicopatici, mitomani, sadici, degenerati, criminali comuni, cocainomani, esaltati, prostitute, delatori, spie.
Koch è un segugio e i tedeschi si servono di lui per annientare la Resistenza.
La notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944 coordina l’assalto nel convento annesso alla basilica di San Paolo, a Roma. Arresta 67 persone tra cui ebrei, renitenti alla leva, ex funzionari di polizia e generali del disciolto esercito italiano.Dopo l’attentato del Gap romani in via Rasella, Koch fornisce a Kappler, Pribke, Hass liste di detenuti poi mandati al macello alle Fosse Ardeatine. Nell’aprile 1944, la banda arresta il regista cinematografico Luchino Visconti.
La carovana della morte, il Reparto Speciale di Polizia guidato da Pietro Koch scivola lungo l’Italia come serpe affamata, cerca uomini e donne con idee diverse per placare la sua sete di sangue.
Il Reparto Speciale di Polizia entra nelle loro case.
Li stana come animali braccati: incatena le loro mani.
Mani grosse.
Non affusolate e ben curate come quelle degli aguzzini, ma mani da macellai, enormi.
Mani di contadini rugose, screpolate.
Mani di meccanici, sempre un po’ macchiate d’olio esausto.
Mani di donne giovani, ma già abituate a tirar su tre figli: mani forti per non crescere delinquenti, mani delicate per non lasciarli in balia della notte, svegli.
Mani di lavoratori che non hanno orario se non seguire la luce del giorno e l’oscurità della notte.
Mani callose di falegnami.
E poi ancora.
Mani di elettricisti coi capelli lunghi tenuti legati dietro la testa.
Mani di operai e manovali capaci di alzare 150 chili senza la paura di cadere sfiniti.
Mani di carta vetrata, con la polvere che è ormai tutt’uno con la pelle, sono le mani dei minatori di pietre che feriscono talvolta.
E tuttavia non fanno male come le bastonate che schioccano quei vigliacchi in guanti neri o guanti bianchi.
Aguzzini le cui mani sotto la pregiata stoffa che le nasconde sono rosse di sangue altrui, incancrenite di dolore appiccicato per sempre, eterna condanna.
Una volta che ha completato il carico, la carovana della morte, il Reparto Speciale di Polizia riprende il suo viaggio per giungere alla destinazione finale.
Quando gli aguzzini di Pietro Koch entrano nelle case di antifascisti ed ebrei tutti rubano i loro averi.
Oggetti di valore, denaro, gioielli, orologi, pellicce, fucili da caccia, indumenti calze da seta, generi alimentari, persino protesi dentarie in oro.
Poi trasferiscono i detenuti nelle camere di sicurezza.
Le persone arrestate vengono fatte oggetto di sevizie particolarmente efferate: formidabili pugni, schiaffi, calci, colpi inferti mediante bastoni di legno e di ferro, anche a spirale intrecciata e retrattili, frustini, nervi di bue, fustigazione dei testicoli.
I detenuti vengono portati in una cella detta carbonaia, richiusi in un pertugio detto buco, legati in due l’uno all’altro e appesi per giorni senza mangiare.
Alcuni sono costretti a pulire il pavimento dal proprio sangue con i gomiti.
Altri vengono trasportati per le scale tenendoli per i piedi così che il capo batte ogni scalino.
Colpi fortissimi vengono inferti alla regione cardiaca e al centro dello stomaco, oppure dritti contro gli occhi e le orecchie per provocare cecità e sordità, oppure ancora colpi alla mascella diretti a svellere i denti.
Ad altri ancora viene applicato alla fronte un semicerchio di ferro con due punte alle tempie oppure un telaio in legno che comprime il corpo umano contro una striscia chiodata.
Per i detenuti si alternano docce gelide e bollenti, gelide e bollenti, gelide e bollenti, così per ore, che diventano ore.
Tortura per estorcere informazioni preziose, per demolire la dignità delle persone, per ucciderle…
Ma non subito… no…
Poco alla volta…
Gli aguzzini ne studiano di notte e di giorno… bisogna esserci portati… non si possono compiere certi atti efferati e magari poi tornare a casa, baciare i propri figli come se nulla fosse successo…
Non puoi dire che torturi solo per il piacere di veder soffrire vite umane…
Torturi perché vuoi annullare ogni possibilità di opporsi ad un sistema che tu stesso hai costruito.
Non é una follia patologica, è una lucida consapevolezza.
Case anonime, garage, ville che si trasformano in centri di detenzione.
E hanno nomi precisi… indirizzi… località….
A Roma, via Tasso.
A Roma, pensioni Oltremare e Jaccarino.
A Milano, via Paolo Uccello, via Rovello.
A Firenze, via Bolognese.
A Trieste, via Bellosguardo.
Luoghi di tortura dove si entra e non si esce vivi.
Gli stessi che anni dopo sono apparsi in Cile durante la dittatura di Augusto Pinochet (Villa Grimaldi), in Argentina durante la repressione contro gli oppositori ordinata dai generali Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera, Leopoldo Galtieri, Roberto Eduardo Viola (Garage Olimpo, Esquela de Mecànica de l’Armada), e i ogni luogo del mondo dove i diritti dell’uomo vengono calpestati da soldati e polizie segrete.
Ora se credi ti possa esser bastato
Voglio che mi accompagni fino in fondo alla caina
Là dove l’uomo non è mai arrivato
Là dove vi è la disumana violenza e la rovina.
Qui l’arte non riesce più a sostenere
La metafora, l’immagine, il suono dell’abisso
Perché il confine non lo puoi oltrepassare
Perché laggiù l’uomo, non è più uomo: è crocifisso.
Le menti lucide di carnefici senza ritegno
Annullano il concetto primitivo di razza umana
Non riesco più a pensare, abbasso gli occhi e mi sdegno
Di fronte ad un boia ancor più feroce di una mammana.
Cosa può esserci di più tremendo di violenta morte?
Cosa si può immaginare che superi qualsiasi aberrazione?
Apri gli orecchi quel che sto per dirti è veramente troppo forte
E se vuoi andartene, fallo ora, è la tua ultima occasione.
Per dirti quello che ti ho detto non ho usato mezze parole
Perché se dici di appartenere al genere umano
È ora di illuminare la coscienza con il sole
È ora di gridare, agire e fare un gran baccano.
Chino il capo come uomo abbattuto da altro uomo
Non chiedo perdono per i boia degli abissi
Taccio, ma non sarò mai domo
E griderò con tutta la mia rabbia e con gli occhi vergognosi e bassi
Che ormai il tempo della giustizia è tramontato
Questo è il tempo della verità e dei grandi passi.
La guerra di liberazione è lunga, dura, estenuante.
Prosegue tra forti avanzate, rastrellamenti dei nazifascisti, faticose ritirate, umilianti ripiegamenti, ancora avanzate, azioni di sabotaggio e attacchi contro postazioni strategiche, occupazioni di paesi e valli (Alba e Langhe, Montefiorino, Ossola, Valsesia sono i luoghi più importanti), insurrezioni di città (Napoli, Firenze, Milano, Torino, Genova), fino all’aprile del 1945, i giorni della resa dei conti finale e della libertà conquistata.
A che prezzo?
Dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945: 45.000 partigiani civili italiani morti in combattimento o fucilati dopo atroci torture; 22.000 mutilati e invalidi; 45.000 soldati uccisi in azione, quelli che dopo l’8 settembre 1943 decidono di schierarsi contro i nazifascisti; oltre 10.000 militari della Divisione Acqui, impegnati a Cefalonia e Corfù assassinati dai nazisti; 650.000 soldati rinchiusi nei lager per essersi rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò, 40.000 sterminati, come altri 36.000 civili; 15.000 tra civili, partigiani, simpatizzanti della Resistenza trucidati nelle oltre duemila stragi naziste e repubblichine avvenute in Italia.
Come ricordare oggi i valori della Resistenza?
La memoria è come un film in bianco e nero.
A volte viene nascosta, chiusa chiave nei cassetti della storia.
Ma altre volte, quella memoria torna, ritorna, e lascia tracce.
Non è memoria buona per anniversari, per tutte le stagioni, buona per parate militari, per finti applausi, buona per politici con la bandiera italiana in mano e l’ipocrisia nel cuore.
E’ memoria viva, quotidiana, un ponte tra generazioni diverse che vivono o hanno vissuti tempi diversi.
E’ un impegno civile, quotidiano, fatto di piccole cose, di gesti, di atti pubblici, soprattutto di parole.
Io racconto una storia a te e tu la racconterai ad altri figli, ad altri amici.
E fino a quando queste storie avranno gambe per poter camminare, queste storie non moriranno mai.
Quando qualcuno si stancherà di raccontarle, queste storie moriranno due volte, con le persone e con le ingiustizie.
“I gendarmi del revisionismo” e “I gendarmi della memoria”.
Si, siamo fieri e orgogliosi di questa definizione, siamo proprio i “gendarmi della memoria”.
Siamo quelli che hanno deciso di stare da una parte, non abbiamo cambiato bandiera solo per vendere qualche libro in più.
Pensiamo cioè che il peggiore dei partigiani stava dalla parte della democrazia, e il migliore dei repubblichini di Salò era alleato dei nazisti responsabili dello sterminio pianificato di milioni di ebrei e di oppositori politici.
Nessuna parificazione tra partigiani e fascisti.
Il sangue dei vinti non può essere mischiato con quelli dei vincitori.
Niente retorica ma giù le mani dai valori scritti nella nostra Costituzione, la più bella in Europa, valori antifascisti.
Costituzione italiana
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge.
Art. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro.
Art.10
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Art. 11.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Art. 17.
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Art. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Art. 34.
La scuola è aperta a tutti.
E’ per questi e altri motivi che i nostri padri hanno combattuto il fascismo, hanno sognato un paese democratico, un paese in cui un narratore può parlare e un cantautore eseguire le sue canzoni, e voi ascoltare, senza che nessuna milizia armata possa mai attenderci fuori per arrestarci.
Non disperdiamo mai questi valori.
E’ la nostra carta d’identità, il nostro dna, l’unico modo per stare insieme davvero.
Storie di salmodie della speranza
Padre Davide Maria Turoldo era un uomo straordinario.
Nella sua “Salmodia della speranza” è racchiusa l’idea di un cristianesimo vissuto dal basso, dalla parte dei più poveri, gli umili del mondo.
Durante l’occupazione nazista di Milano collabora con la Resistenza.
La sua militanza durò tutta la vita, interpretando il comando evangelico “essere nel mondo senza essere del mondo” come un “essere nel sistema senza essere del sistema”.
E allora?
Allora stasera vi raccontiamo un pezzo della “Salmodia della speranza”, a modo nostro.
Perchè anche questa è una storia dell’Altra Italia.
Terra, perdona la nostra civiltà di sangue.
Le campagne sono percorse da branchi di lupi.
Selve di vivi cadaveri i lager:
in processione, senza fine camminano ombre
da capitale a capitale.
Tutta l’Europa piange e non è consolata,
piange sulle figlie violentate e uccise.
Oslo è caduta, Olanda è caduta,
Belgio è caduta, Parigi è caduta,
è caduta Belgrado, Atene è caduta,
Varsavia è uccisa,
la radio di Breslavia trasmette Lilì Marlene,
a Praga sono alzate le forche,
e Kiev e Smolensk e Karkow sono cadute,
Mosca è un mare di fango,
e Budapest è ancora sgozzata come un agnello.
Raymond R.L., francese,
ha scritto sul muro della cella:
Non fate nulla dunque per me?
Vi supplico di venire in mio soccorso perché morirò…
Ho quattro bambini, forse
avranno pietà di questi innocenti e la mia povera mogliettina
che mi piange notte e giorno…
Serafim Triantafilou,
della Tessaglia,
trentadue anni ,
avvocato, figlio di contadini, fucilato:
Non vediamo nulla,
soltanto sentiamo il rumore della città
come da una tomba.
Sono inconsolabile perché non possiedo una bomba per gettare in aria i tedeschi.
Quando vai a Trikala, passa dal villaggio e baciami il vecchio, il suo sudore mi ha portato sin
qui.
Ciao, Niko, non invidio quelli che vivono,
ma quelli che vivranno in un mondo libero.
Franz Mager, di Vienna,
quarantasette anni, falegname,
giustiziato:
Ho dovuto morire perché la solidarietà umana mi era filtrata nel sangue,
perché stimavo superiore alla mia salvezza personale il rispetto verso il mio prossimo,
verso i miei compagni di lavoro.
Non ho commesso alcun delitto contro lo Stato.
E non sono nemmeno un eroe, un martire,
sono soltanto ciò che sono sempre stato,
un uomo semplice, semplicissimo,
che ha dovuto morire perché non era adatto per questi tempi.
Anche Sesto San Giovanni
che nel marzo 1943 vide i primi scioperi
nell’Europa schiacciata dai nazisti
ha pagato il suo duro tributo:
novecento deportati, ottanta morti nei lager,
oltre mille arrestati, quarantacinque caduti in combattimento,
quattordici i fucilati.
Da Sesto San Giovanni veniva Umberto Fogagnolo, trentadue anni,
ingegnere alla Ercole Marelli, fucilato a piazzale Loreto:
Tu, Nadina,
mi perdonerai se oggi io gioco la mia vita.
In questi giorni ho vissuto ore di dramma.
Tu però sii come sempre calma e pensami con tutta l’anima perché ho tanto bisogno di sentirti
vicina.
Sii forte come sempre lo sei stata.
Ricorda che nulla al mondo è superiore al nostro amore e nessuna forza umana, capisci, potrà
mai distruggerlo.
Siimi vicina, ricordami e scrivimi.
La nostra unione è stata la più grande grazia che Dio potesse concederci.
Prega e pensami. A Gioia il mio ricordo.
Un uomo è ritornato ai campi deserti:
una croce di ossa a sorreggere sette cuori.
Aveva sette figli. Tutti ammazzati.
Ghirlande di spine gli era la vecchia madre
E le nuore e i bimbi che fiorivano
Come novelle gocce di sangue
Giù per il suo corpo esangue.
Raggiustò la casa,
ricongiunse le strade interrotte,
e innalzò nuovi alberi nelle grandi fosse, e riprese l’aratro e ritornò ai campi.
«A raccolto distrutto, uno nuovo se ne prepari », disse!
Storie degli anni Settanta.
Sono storie dell’Altra Italia.
Storie di omicidi rimasti impuniti, di sangue versato lungo le strade e le piazze italiane.
Storie di giovani uccisi per le loro idee.
Storie che si snodano come fosse una sceneggiatura di un film in tante scene.
Prima scena, ciak
Milano, 12 dicembre 1970. La polizia carica, gli studenti lanciano bottiglie incendiarie. Nel corso degli scontri in Via Larga lo studente Saverio Saltarelli, di 23 anni, viene ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo.
Seconda scena, ciak.
Pisa. 5 maggio 1972. E’ previsto un comizio del Movimento Sociale Italiano. Franco Serrantini, giovane anarchico, viene arrestato e condotto prima in caserma, poi in carcere, in cella d’isolamento. La mattina del 7 maggio, alle ore 8.30, Franco Serrantini viene trasportato al pronto soccorso del carcere. Muore alle 9.45.
Terza scena, ciak
Milano, 23 gennaio 1973. Gli studenti della Bocconi chiedono un’aula per una riunione. Il Rettore vieta l’assemblea e chiama la polizia che spara. Roberto Piacentini, giovane operaio, viene colpito alla schiena e Roberto Franceschi, viene ucciso da un proiettile che gli trapassa la nuca.
Quartascena, ciak.
Milano.16 aprile 1975. Una manifestazione per la casa organizzata da gruppi della sinistra extraparlamentare termina in Piazza Cavour. Il neofascista Antonio Braggion estrae la pistola e fa fuoco contro una decina di giovani che sostano all’angolo con via Turati. Muore il giovane Claudio Varalli.
Il 17 aprile 1975, una manifestazione punta sulla sede missina di via Mancini. Gli scontri si fanno durissimi. Un camion dei carabinieri investe e uccide. il giovane militante dei Caf Giannino Zibecchi.
Quinta scena, ciak.
Reggio Emilia.12 giugno 1975.Mancano tre giorni alle elezioni amministrative. Intorno alle 23, Alceste Campanile, militante di Lotta Continua, si trova a Convoglio, sulla strada che collega Montecchio a Sant’Ilario, provincia di Reggio Emilia. Viene giustiziato con due colpi di pistola:uno alla nuca, il secondo dritto al cuore.
Sesta scena, ciak.
Milano. Sabato 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro. Il silenzio maschera il rumore sordo di passi veloci, quelli di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio, 19 e 18 anni. Due ragazzi di sinistra che frequentano il Centro Sociale Leoncavallo. All’altezza del portone dell’Anderson School, in via Mancinelli i passi d’improvviso si fermano. Fausto e Iaio avvertono il pericolo. Due persone si avvicinano con fare sbrigativo. Li bloccano. La loro vita si spegne sotto i colpi di otto proiettili Winchester calibro 7,65, sparati da un killer professionista. Un’esecuzione
Settima scena, ciak.
Roma. 22 febbraio 1980. Tre persone si presentano a casa di Valerio Verbano, militante di Autonomia Operaia di Roma. Uccidono il ragazzo davanti agli occhi dei suoi genitori.
Ottava scena, ciak.
Genova, 20 luglio 2001. Poco dopo le 17,20.Duri scontri tra polizia e manifestanti che si oppongono al G8 proseguono da ore. Due colpi di pistola. Carlo Giuliani cade a terra. Il defender dei carabinieri fa marcia indietro e passa sul corpo ormai senza vita del giovane.
Nona scena,ciak.
Ferrara, notte tra il 25 e il 26 settembre 2005. Federico Aldrovandi, 18 anni, viene trovato morto. Il suo corpo è livido e tumefatto. Federico Aldrovandi viene ucciso a manganellate da agenti in servizio durante un normale controllo di polizia. Un abuso di potere che si trasforma in omicidio.
Decima scena, ciak.
La storia di Stefano Cucchi comincia quando finisce la sua libertà. Sta fumando uno spinello con un suo amico. Subisce un controllo e una perquisizione, gli trovano 18 grammi di hashish, qualche pasticca. Viene fermato e arrestato. E’ sano. Sta bene.
E invece no
Stefano muore il 22 ottobre 2009 alle 6,20 del mattino.
In realtà le scene del film dovrebbero essere alcune centinaia.
Sono quelle di persone uccise in Italia nelle strade, nelle piazze, sotto casa, nelle carceri.
Sono storie dell’Altra Italia che non hanno avuto alcuna giustizia.
Storie dell’Italia famigliona
L’Italia è fatta anche così.
Arruffona, ingannatrice, sempliciotta.
L’Italia famigliona dove tutto si può aggiustare, basta che convenga a sé stessi.
L’Italia dalle mille contraddizioni.
E’ l’Italia “pizza, spaghetti, sole e mandolino”.
E’l’Italia che “qui rubano tutti e son tutti uguali”.
E’l’Italia di “qui è tutto un magna magna”.
E’ l’Italia fatta di quelli che posteggiano la macchina in terza fila e quando arriva il vigile per mettergli la multa dicono: “sono arrivato da un minuto, solo per comprare le sigarette”.
E’ l’Italia che posteggia la macchina sulle barriere architettoniche e pensa: “tanto non ho mica un parente disabile”.
E’ l’Italia che quando ha un parente disabile riga la carrozzeria delle macchine parcheggiate in terza fila e quelle parcheggiate sulle barriere architettoniche.
E’ l’Italia di quelli che dicono che non si devono pagare le tasse.
E’ l’Italia dei commercianti che non ti danno lo scontrino, dei carrozzieri,elettricisti, avvocati, notai, liberi professionisti che non ti danno la fattura.
E’ l’Italia di quelli che vanno dal commercialista e dicono: “può aggiustare i bilanci dell’azienda con qualche trucco?”.
E’ l’Italia degli evasori che quando vengono beccati dai finanzieri mirano al condono.
E’ l’Italia delle truffe, degli inganni.
E’ l’Italia dei condoni edilizi, delle gare di appalto truccate, degli eco mostri, dei consigli comunali commissariati per mafia, dei finti ciechi, dei finti invalidi, dei finti storpi, dei finti anziani, dei finti matti, dei finti pensionati, dei finti dentisti, avvocati, notai, commercialisti, dei diplomi e delle lauree comprati, delle carriere comprate, degli esami comprati, dei concorsi fasulli organizzati da giurie fasulle che hanno già in tasca i nomi dei vincitori.
E’ l’Italia dove noi tutti siamo una grande famiglia e la grande famiglia non si tocca.
E’l’Italia dove i parenti si azzuffano al funerale di un loro parente per una eredità.
E’ l’Italia dove noi tutti siamo amici e gli amici non si toccano.
E’ l’Italia in cui un amico ti ruba la moglie.
E’ l’Italia in cui un amico che non senti da trent’anni ti chiama per chiederti di piazzare il suo nipote disoccupato.
E’ l’Italia dei figli di portinai che diventano portinai, dei figli di giornalisti che diventano giornalisti, dei figli di avvocati che diventano avvocati, dei figli di imprenditori che diventano imprenditori, dei figli operai che restano operai, dei figli di disoccupati che restano disoccupati.
E’ l’Italia dove tutti sono commissari tecnici e tutti hanno la loro formazione in tasca, di lunedì, al bar Sport.
E’ l’Italia che quando vince la nazionale “siamo tutti italiani, anche i nomadi, gli immigrati senza permesso di soggiorno”.
E l’Italia che quando perde la nazionale si arma di randella, si organizza in ronde e da la caccia agli immigrati.
E’ l’Italia di “qui è tutto un casino, qui non si capisce un cazzo, qui non funziona niente”.
E’ l’Italia che ” se non passa il tram è colpa del Governo”.
E’ l’Italia che “tanto ci sarà sempre qualcuno che ci pensa”.
E’ l’Italia che ” che c’è frega, tanto non ci pensa nessuno”.
E’ l’Italia che “tanto lo fanno tutti”.
E’ l’Italia che “l’ha detto al televisione, l’ha detto la radio, l’ha scritto il giornale”.
E’ l’Italia della delega, che non si prende una responsabilità, che sta a guardare il mondo dalla finestra, che non prende posizione.
E’ l’Italia degli indifferenti.
Ma forse c’è anche un’Italia migliore.
Storie dell’Altra Italia
La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine.
Così scriveva Giovanni Falcone.
Ma per accelerare la sua fine c’è bisogno di impegno civile, pazienza, volontà, conoscenza, e tanto coraggio.
L’Italia è il paese delle mille leggi buone ma poco applicate.
C’è n’è solo una che fa più paura ai boss di Cosa Nostra, della Camorra, della n’drangheta, della sacra Corona Unita.
Si chiama legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.
Si perché la mafia la colpisci certamente con gli arresti, ma soprattutto colpendola nel conto corrente. La legge prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a quei soggetti – associazioni, cooperative, Comuni, Province e Regioni – in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale e lavoro.
A oggi sono oltre 28mila i beni sequestrati alle mafie per un valore complessivo di 15miliardi di euro.
Almeno 11 mila i beni confiscati.
La maggior parte si trovano in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, ma anche in Lombardia e nel Lazio.
Il lavoro sui terreni confiscati ha portato alla produzione di olio, vino, pasta, taralli, legumi, conserve alimentari e altri prodotti biologici realizzati dalle cooperative di giovani e contrassegnati dal marchio di qualità e legalità Libera Terra.
Ogni anno su questi terreni si svolgono i campi di volontariato internazionale con giovani provenienti da ogni parte del mondo.
In Sicilia la Cooperativa Placido Rizzotto effettua l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati,.
In Calabria la cooperativa sociale di lavoro e produzione “Valle del Marro-Libera Terra” coltiva nella Piana di Gioia Tauro 60 ettari di terreni confiscati alla ‘ndrangheta.
In Puglia cresce la cooperativa Libera Terra.
Ma chi sono questi ragazzi che sfidano le mafie sul territorio?
Li chiameremo i ragazzi che hanno fatto l’impresa.
Ore 4, Massimiliano si sveglia.
Alle 5 deve essere sui campi, per raccogliere l’uva.
Massimiliano è un bracciante, ma molto particolare.
Unico.
Perché quando si sveglia è in carcere.
Perché lui è un 416bis, condannato a 12 anni per associazione a delinquere di tipo mafioso, la Sacra corona unita, la mafia pugliese.
Ma ora non è più un mafioso.
Coltiva le terre sottratte ai boss.
Dalla illegalità alla cultura della legalità.
Sono le storie che ci piacciono.
Non lasciamoli mai soli questi ragazzi.
Perché rappresentano le storie dell’Altra Italia.
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