Storie d’Italia
DANIELE BIACCHESSI MICHELE FUSIELLO
STORIE D’ITALIA
I testi sulla strage di via dei Georgofili e Libero Grassi sono scritti da Raja Marazzini.
Live Roma, Casa del Cinema, Contromafie con Michele Fusiello 18/11/2006(audio)
Live Roma, Casa del Cinema, Contromafie con Michele Fusiello 18/11/2006(video)
Live Casalecchio Casa delle Conoscenze versione solista 25/11/2006(audio-video)
Live Mestre Piazza Ferretto con Michele Fusiello 22/09/2007(audio)
Storie d’Italia. Scritte e raccontate come fossero diari di bordo. Con protagonisti e date precise.
Fatti realmente avvenuti. Appunti della nostra memoria contemporanea.
Sono storie d’Italia. E di mafia.
Novembre 1944.
Documenti classificati “ top secret ”, inviati al segretario di stato italiano dal console generale degli Stati Uniti a Palermo, Alfred Nester.
Primo rapporto:
“Signore, ho l’onore d’informarla che il 18 Novembre 1944 il Generale Castellano insieme ai Capi Della Maffia, presente Calogero Vizzini, si é incontrato con Virgilio Nasi, Capo della ben nota famiglia Nasi di Trapani e gli ha offerto di assumere la direzione del Movimento Per l’autonomia Siciliana, appoggiato dalla Maffia. Il Generale Castellano ha stretto contatti con i Capi Maffia e li ha incontrati in più occasioni”.
Secondo rapporto:
“Dopo 3 giorni d’incontri segreti con esponenti della maffia a Palermo, il generale Castellano, comandante della divisione Aosta di stanza in Sicilia, ha steso una bozza di accordo sulla scelta e l’appoggio di un candidato come alto commissario per sostituire il favorito Salvatore Aldisio. Il candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver esposto il suo piano ai capi della cupola maffiosa ”.
La sera del 10 marzo 1948.
Placido Rizzotto, il segretario della Camera del Lavoro di Corleone scompare nel nulla.
A casa non torna, nessuno lo vede, tranne i suoi assassini.
Placido è un uomo coraggioso, lui partigiano sulle montagne della Carnia.
Dopo la guerra, Placido osa sfidare i boss mafiosi.
Si mette a capo del movimento contadino per l’occupazione delle terre.
In Sicilia, nel ’48.
Un capitano dei carabinieri conduce le indagini.
Si chiama Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Ritrova il corpo senza vita di Placido Rizzotto e arresta un boss mafioso in rapida ascesa: Luciano Liggio.
Placido è uno dei 36 sindacalisti uccisi in Sicilia negli anni dell’immediato dopoguerra.
Sarà Pio La Torre a prendere il posto di Placido Rizzotto alla guida dei contadini e del sindacato.
Anni dopo, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre saranno uccisi dalla mafia.
Come in una antica leggenda greca.
Proprio come in una saga della storia.
Anno 1979.
E’ la sera dell’undici luglio.
L’avvocato Giorgio Ambrosoli è un uomo perbene, di poche parole, un professionista, riservato quanto basta.
Da alcuni anni ricopre un ruolo importante, ma scomodo.
E’ il liquidatore della Banca Privata del finanziere Michele Sindona.
Nel tempo, svelerà i meccanismi dell’economia mafiosa, quella dei colletti bianchi, che si nasconde dietro società pulite, gestite da prestanome.
Gli affari sporchi della mafia politica, quella che non fa rumore, che agisce in silenzio.
La mafia che non si scopre.
11 luglio 1979.
Milano si è svuotata e le ombre della sera sono avvolte da un caldo umido che non ti fa respirare e ti penetra nei polmoni.
Sei amici.
Si conoscono dai primi anni ’70.
Le mogli sono in vacanza con i bambini.
Così decidono di vedersi, come ai vecchi tempi.
Vanno a mangiare al ristorante “ Tre fratelli ”.
Giorgio Ambrosoli è stanco, turbato, ma quella sera sorride, è cordiale, allegro.
Alle dieci e mezzo i sei amici hanno finito di cenare.
In televisione scorrono già le immagini dell’incontro di pugilato tra Lorenzo Zanon e Alfio Rigetti.
Fanno a pugni per conquistare il titolo europeo dei pesi massimi.
“ Dai Giorgio che si va a casa tua a vedere il match. ”
La casa più vicina al ristorante è quella di Ambrosoli.
Così ripartono in macchina.
Ora sono davanti al piccolo schermo nell’abitazione dell’avvocato.
Via Morozzo della Rocca numero 1.
Ambrosoli è contento.
Una serata come quella era da tanto tempo che non la trascorreva.
Ci si toglie la giacca, si slacciano le cravatte, ora gli occhi di tutti sono puntati su quei due atleti in calzoncini corti che si stanno picchiando… e come se si picchiano.
Il pugilato distrae: la mente di Giorgio Ambrosoli per un attimo si allontana da quei pensieri che lo assillano ormai da troppo tempo.
Gli occhi lucidi rimangono fissi e tornano i ricordi.
La memoria si dilata, nel tempo.
1971, Banca d’Italia.
Il Governatore Guido Carli convoca Giorgio Ambrosoli.
Gli affida l’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona.
Pochi mesi prima, dalle indagini sui conti correnti di Sindona, erano emersi gravi irregolarità e strane operazioni bancarie per miliardi di vecchie lire.
Sindona è assai potente, ha appoggi internazionali, estimatori nel Governo, nella DC.
Soprattutto in Vaticano.
Ma Ambrosoli cerca la verità.
Ad ogni costo.
La società Fasco di Sindona è una società che ne contiene altre.
Come nel gioco delle scatole cinesi.
E in questo enorme cavallo di Troia si nascondono flussi di denaro sporco, proveniente dal narcotraffico e altri affari illegali.
Centinaia, migliaia di miliardi.
Ambrosoli fa il suo lavoro, fino in fondo.
Scioglie il consiglio di amministrazione della Fasco.
Non accetta i progetti di salvataggio di Sindona proposti da politici e faccendieri.
Accanto a lui c’é Silvio Novembre, maresciallo della guardia di Finanza.
Arrivano minacce.
11 luglio 1979: Zanon e Righetti si stanno picchiando forte.
Il posacenere tracima di mozziconi di sigaretta.
La tensione per l’incontro è alta.
I sei amici urlano, la casa sembra il palazzetto dello sport di Rimini.
L’incontro finisce in parità e il titolo di campione europeo resta a Zanon.
E’ mezzanotte e squilla il telefono.
L’avvocato alza la cornetta.
Dall’altra parte, nessuno parla.
Tutto il silenzio di una linea telefonica collegata investe i nervi dell’avvocato..
Poi l’anonimo mette giù.
Di colpo.
CLIK.
Ambrosoli scende in strada, saluta due amici.
Torneranno a casa a piedi.
Sulla vettura dell’avvocato salgono gli altri tre.
Li accompagna a casa.
Poi torna indietro, parcheggia la sua Alfetta blu davanti a casa.
Scende dalla macchina, sta per chiudere la portiera.
Sente una voce sottile che giunge alle sue spalle.
“ Il signor Ambrosoli? ”
L’avvocato si gira.
“ Sì ”.
Tre colpi di Magnum 357 spengono la vita di Giorgio Ambrosoli.
Il passo di un uomo perbene.
I Tribunali accerteranno che William Aricò, killer della mafia italo-americana uccide Giorgio Ambrosoli su mandato esplicito di Michele Sindona.
Giorgio Ambrosoli viene fermato perché rappresenta lo Stato delle regole e della legalità.
E questo molti anni prima di Mani Pulite.
Al funerale dell’avvocato Ambrosoli nessuna autorità in rappresentanza del governo gli rende omaggio.
Correva l’anno 1979.
Occhi osservano dall’alto della collina.
Occhi minacciosi, pieni di odio.
Occhi che hanno il colore del tritolo incrociano occhi buoni di uomini e donne.
Sono dentro un’automobile che corre verso la morte.
L’ultima corsa di Giovanni Falcone inizia all’aeroporto di Ciampino, a Roma, sabato 23 maggio 1992.
Sono le 16:50.
Un jet dei servizi segreti decolla con a bordo il giudice e la moglie Francesca Morvillo.
Destinazione Palermo, aeroporto di Punta Raisi.
Atterrerà 53 minuti dopo.
Li attendono 6 agenti con le loro auto, 3 Fiat Croma blindate.
Le vetture si muovono dall’aeroporto alle 17:50.
Falcone sceglie la Croma bianca.
Lui è al volante, la moglie gli siede di poco accanto.
Imboccano l’A29.
La campagna siciliana sfila ai lati con i suoi colori di maggio.
Il sole taglia di traverso i finestrini mentre un caldo vento di scirocco accarezza tutti i loro volti.
C’è odore di mare.
Sulla statale che corre parallela all’autostrada, una Lancia Delta si mette in moto. E’ quella di Gioacchino la Barbera.
Palermo dista solo 7 chilometri.
Le auto si stanno lentamente avvicinando allo svincolo Capaci-Isola delle Femmine.
Dalle colline che sovrastano l’autostrada alcuni uomini seguono la scena, scatto dopo scatto, come se fosse la sceneggiatura di un film.
Ma un film proprio non è.
L’interruttore che mette in moto il meccanismo della strage è un segnale in codice.
Una telefonata ” sbagliata”, entrata nella storia di sangue di Capaci.
” Pronto Mario? ”
” No, ha sbagliato numero. “
Il cellulare di La Barbera squilla alle 17:02.
Sa che quella telefonata non è un errore ma un segnale preciso.
Con lui, in un casolare vicino alla statale, ci sono altri sette uomini.
Sono al vertice di Cosa Nostra.
La Barbera sale sulla sua Lancia Delta e imbocca la strada che corre parallela alla Palermo – Punta Raisi.
Arrivato ad un punto prefissato si ferma e aspetta.
Ferrante e Salvatore raggiungono l’aeroporto.
Gioè e Troìa inseriscono una ricevente vicino a 500 chilogrammi di esplosivo, in un tombino dell’autostrada.
Poi salgono con Brusca e Battaglia sulle colline di Capaci, sotto lo sperone di rocce bianche che interseca il profilo di Montagna Grande.
Dall’autostrada, spuntano 3 Fiat Croma.
La Barbera riparte e le segue a distanza.
Alle 17:49 chiama Gioè sulle colline.
Meno di un secondo e la telefonata s’interrompe.
Sono le 17,56 minuti e 48 secondi, l’uomo della collina, Giovanni Brusca, sfiora il tasto del comando a distanza.
L’impulso raggiunge il tombino dove è collocata la ricevente.
I cinque quintali di tritolo, seppelliti nel canale di scolo, divampano, il boato è enorme, solleva cento metri di asfalto.
Si apre una voragine, larga trenta metri e profonda otto, che risucchia metallo, uomini, alberi, massi.
Sull’altra carreggiata una Fiat Uno verde con due turisti austriaci, e una Opel Corsa sono investite dai detriti.
Fiamme e fumo, poi solo silenzio.
Nella prima auto catapultata a 5 metri gli agenti di scorta muoiono sul colpo: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Nella seconda, spezzata in due tronconi, il giudice e la moglie, respirano ancora.
Una pattuglia della polizia accosta.
Giovanni Falcone e Francesca Morvillo moriranno all’Ospedale Civico di Palermo, un’ora più tardi.
L’autista del giudice e gli altri due poliziotti, feriti gravemente, sopravvivono.
L’uomo della Lancia Delta è ormai lontano.
L’esplosione di Capaci deflagra fino a Montecitorio.
Il 25 maggio viene eletto il nuovo presidente della Repubblica: Oscar Luigi Scalfaro, 73 anni, democristiano.
Lo Stato e la politica sono sotto accusa per la morte di 5 funzionari dello Stato.
L’Associazione Nazionale Magistrati denuncia: il potere politico è fondato sul consenso criminale.
Ci saranno manifestazioni: a un mese dalla strage di Capaci, 100 mila persone arrivano a Palermo da tutta Italia per sfilare contro la mafia.
Sono in gran parte giovanissimi, gli stessi volti che anni dopo vedremo sfilare a Locri, in Calabria, pochi giorni dopo l’uccisione di Francesco Fortugno.
Il governo Andreotti approva norme antimafia di emergenza: carceri speciali per i boss, indagini segrete di polizia e premi per i pentiti.
Il ministro della Giustizia Claudio Martelli propone Paolo Borsellino come Superprocuratore antimafia.
Intanto il pentito Antonino Calderone avverte: ci saranno altri delitti eccellenti.
Paolo Borsellino lo ripeteva come fosse un’ossessione:“Il mio problema è il tempo ”.
Lo diceva in quei cinquantasette giorni dell’estate 1992.
Morto Falcone, Paolo Borsellino sapeva di essere per Cosa Nostra il primo della lista.
Il 19 luglio 1992 a Palermo è una calda domenica.
Le indagini sulla morte di Giovanni non competono a Borsellino, ma alle sette del mattino il procuratore Giammanco gli comunica che finalmente potrà occuparsi anche delle indagini su Palermo e provincia, come lui da tempo richiedeva.
Paolo Borsellino pranza in famiglia nella casa di Villagrazia di Carini.
Poi, nel tardo pomeriggio, decide di far visita all’anziana madre.
Tra il mare e la casa della signora Maria a Palermo c’è un’autostrada, e quel pomeriggio le tre “croma” blindate su cui viaggiano il giudice e la sua scorta transitano vicino allo svincolo di Capaci, dove una striscia di vernice rosso sangue sul guard-rail già ricorda la strage del 23 maggio.
Arrivati in città, raggiungono via Mariano D’Amelio, una strada chiusa, ostruita al fondo da un muro di tufo che recinta un cantiere edile.
Paolo Borsellino fa giusto in tempo a citofonare al numero civico 21, quando alle sue spalle esplode una Fiat 126 carica di tritolo.
Muore sul colpo e con lui i sei uomini della scorta: Antonio Vullo, Emanuela Loi, Walter Cusina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.
Così si moriva a Palermo.
Soli.
Senza la protezione morale dello stato che si serve.
Senza neanche il tempo di vivere.
Senza un saluto, senza aver chiuso l’ultima pagina di un inchiesta.
Soli e minacciati… lavorando e basta.
Soli…
Semplicemente soli.
Firenze. Piazza della Signoria. Poco distante.
Via dei Georgofili, il 27 di maggio si sta bene fuori.
Pennellate di colore: gli occhi della Madonna, il naso del Bambino.
I colori brillano accesi mentre una famiglia cammina senza pensieri cattivi.
Angela Fiume in Nencioni 36 anni
Fabrizio Nencioni 39 anni
Nadia Nencioni 9 anni
Caterina Nencioni 6 mesi
Una famiglia che passeggia prima di rientrare in albergo, tra queste vie fiorentine che crescono uomini di lettere e di pittura.
Le statue sono immobilizzate in gesti antichi.
Meravigliose.
E la vita, ancora sta dando il meglio di se.
Dario Capolicchio 22 anni
L’una di notte.
La pallida luna fa ombra ai rossori degli amanti.
I colori ad olio eterni, si squagliano come acquerelli al calore dei sospiri.
2 ragazzi incollati alla vespa dai baci: gambe incastrate per un amore totale, anche dove non si dovrebbe ma come fai ai suoi sorrisi non prestare ascolto, diventare una cosa sola nell’ombra della strada, stringerla per sempre, non salutarla mai.
“ Ancora 5 minuti… ”
< Devo andare! > e poi entrambi a ridere…
Come fai ad andar via sul serio che parrebbe andassi via per sempre e allora… si, ti bacio, si resto.
< Ancora 5 minuti… non è una fatica: siediti sulla vespa, davanti a me: voglio annusare i tuoi capelli… profumano di lavanda, tiene lontane le zanzare, ma non me che rido attirato nel tuo gioco… ma è tardi. >
“ No… è quasi l’una… ”
< Ti bacio, devo andare. >
“ Ancora 5 minuti ”
< No dai, è tardi, devo andare… a domani. >
“ Si amore, notte. Ti bacio anch’io. Dolce notte. ”
Ancora 5 minuti.
Ma che fine farà la bellezza tra 5 minuti?
In che stato si ridurrà l’Arte fra 5 minuti?
La cera si squaglierà; i colori ad olio si annacqueranno; il marmo si sbriciolerà; gli affreschi si staccheranno in bolle d’aria; il bronzo si fonderà in figure frattali; la pietra franerà mentre le chiavi di volta ormai arrese non riusciranno più a contenere le strutture chiuse nelle loro architetture.
Quale bacio nuovo, bacio vecchio ci sarà? … Se ormai tra 5 minuti, tra 4 minuti, tra 3 minuti, tra 2 minuti, tra un minuto… tra 5 tra 4 tra 3 tra 2 tra 1 secondo… è terra e polvere… è pietra e sassi… è cemento e ghiaia… è torba e catrame… è ferro e gesso… è legno e vetro… è polvere e gomma e fuoco e fumo… e fumo e fuoco… e fumo ancora e polvere e aria e polvere e terra e aria e terra…
Quale opera potrà sublimare tutto questo?
Non c’è stato un duello da narrare, non una battaglia di valorosi, non c’è stata sfida lanciata a tempo debito, o guanto col quale aver schiaffeggiato l’altra parte.
Qui solo vittime innocenti di assassini vigliacchi.
Assassini senza onore marionette di uomini d’onore.
Solo vigliacchi.
Vigliacchi e basta.
Una famiglia: Madre Padre, un bimbo, una bimba appena nata, pochi mesi… ancora 5 minuti e sarebbe stata anche per loro un’altra vita…
Ma la vita è questa: nessun destino umano ha 5 minuti di riserva?
Ancora 5 minuti.
Ancora 5 minuti e ti bacerò per sempre.
Ancora 5 minuti e tutto sarebbe diverso, lo so.
Ma tu devi capire, devo andare, ahimè devo andare…
Non temere amore, non avere più paura d’ora in poi.
Ancora 5 minuti e io con te, mai più di fretta, mai più solo, mai più di corsa.
Ancora 5 minuti… e noi mai più divisi.
– Il dottore Grassi?
“ Sono io. ”
– Senta abbiamo letto la relazione annuale sulla sua azienda e volevamo farle tanti complimenti per come vanno gli affari…
“ Con chi sto parlando, mi scusi.. ”
– Ammiratori…
La Sigma a quel tempo è un’azienda sana, a conduzione familiare.
Da anni produce biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esporta in tutta Europa.
Vi lavorano 100 addetti: 90 donne e 10 uomini.
Il giro d’affari è pari a 7 miliardi annui.
– Buongiorno sono il Geometra Anzalone, parlo col dottore Grassi.
“ Sono io. ”
– Senta ma quando le cose vanno bene non è giusto aiutare quelli a cui le cose vanno meno bene?
“ Si spieghi meglio. ”
– Ci sono amici, brave persone… che stanno in difficoltà e siccome allei le cose ci vanno bene…
“ Non la seguo. ”
– Dottore Grassi, mi ascolti… la sua Azienda fattura 7 mliardi all’anno… e ho sentito dire chellei ci ha un grande cuore… e allora… facesse un’opera di bene: una piccola somma per gli amici ospiti all’Ucciardone…
“ Se lo scordi. La saluto. ”
Era ancora il 1990, quando le prime telefonate arrivarono all’orecchio di un imprenditore siciliano: Libero Grassi.
La sua statura morale ancora oggi mette i brividi e per questo devo raccontarla.
– Dottore… ma che fa? Io le dico che c’è gente bisognosa, da aiutare e lei mi sbatte giù il telefono? Ma che modi sono questi? Lei è stato cattivo, perciò ora deve farsi perdonare in qualche modo… Deve pagare il fio.
“ Io sono un uomo onesto e non ho certo paura di un chiacchierone come lei. La prego di non insistere con queste minacce. ”
Ma da quel giorno le minacce iniziarono sul serio.
– Dica al Dottore Grassi che il magazzino è infiammabile, che deve stare attento al fuoco, in questo periodo… col vento che tira… in un attimo si brucia il lavoro di anni… lo riferisca al Dottore Grassi… mirraccomando… e gli dica pure… di fare attenzione che in Sicilia è facile farsi male quando non si rispettano le regole…
Libero Grassi continua per la sua strada, pensa alla sua azienda, al suo lavoro, ma le telefonate non cessano più…
– Dottore… glielo dico per l’ultima volta: Vossia navaddare i piccioli…
“ No. ”
Ma come si permette, Dottore: lei deve adeguarsi alle regole ha capito… ( urlando ) Vossia navaddare i piccioli….
“ No. ”
Il 10 Gennaio 1991 l’imprenditore scrisse una lettera al Giornale di Sicilia.
Iniziava così: “ Caro estortore… ”.
La mattina successiva in fabbrica arrivarono carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti.
Consegnò 4 chiavi dell’azienda a Polizia e Carabinieri chiedendo loro protezione.
Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decise di denunciarli.
Proprio mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani.
Dissero di essere “ Ispettori di sanità ”.
Fuori però c’era l’auto della polizia e avevano grande premura.
Volevano parlare a tutti i costi con il titolare.
Libero Grassi scese e disse loro: “ Il titolare riceve solo per appuntamento e al momento è impegnato in una riunione. ”
Ci credettero e almeno quella volta se ne andarono.
Li descrisse alla polizia e venne fuori che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni.
Gli “ esattori del pizzo ”, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni.
Furono arrestati il 19 marzo 1991 insieme ad un complice.
In nessun modo riuscirono a sottometterlo.
E un giorno qualunque di un anno qualunque fu ammazzato, in un agguato… ma i killers e i mandanti dovranno ricordarsi per sempre il nome di quell’uomo, di quell’imprenditore: Libero
Delitti e stragi perfetti nella loro imperfezione.
Corrado Guerzoni, il collaboratore più stretto di Aldo Moro, provò un giorno a spiegare una teoria: quella dei cerchi concentrici.
Prestate attenzione.
“ Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in un luogo e mettere una bomba.
Non accade così.
Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, l’economia ci sfugge di mano, i comunisti finiranno per andare presto al potere.
Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?
Così si va avanti……per altri cerchi concentrici…. così fino all’ultimo, quello operativo……..dove c’è qualcuno che dice “ va bene, ho capito ”.
Poi succede quello che deve succedere.
Una strage, un omicidio politico, una bomba piazzata in una strada, sopra un treno.
Così nessuno avrà mai la responsabilità diretta.
E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante di quelle stragi, ti risponderà di no.
Anche se si è avviato proprio questo meccanismo.
Per cerchi concentrici. ”
Ma oggi sappiamo molto più di prima sugli omicidi e sulle stragi di mafia.
Oggi conosciamo i nomi dei responsabili.
Perché abbiamo le prove.
E questa nostra consapevolezza ci rende un po’ più forti.
Dopo la morte di Giovanni Falcone, molti giovani hanno lasciato davanti ad un albero, proprio sotto l’abitazione del giudice, bigliettini.
Frasi di rabbia, dolore, speranza, parole di consapevolezza.
<<Si spegne il sole. Le nubi ricoprono le gemme dei piccoli fiori posati sulla bara piccoli fiori per dire: NO, alla mafia! Grazie, grande uomo. Domenico>>
<<Falcone tu avevi scoperto troppo,tu avevi il coraggio e la volontà per abbattere la mafia e io spero che la tua morte non sia inutile ma che serva ad accendere la speranza dentro di noi Giorgio>>
<<Palermo: un altro addio, un altro allarme! Quante volte l’uomo mi ha deluso, quante volte cercando la chiarezza, si è trovata la morte. Simona>>
<< E’ la pioggia che al posto del sole, nell’ora più calda del giorno, in terra di Sicilia, scende a cancellare dall’elenco i nomi dei cari perduti e si confonde tra le lacrime di un dolore che a stento diventa speranza e rabbia negli occhi del futuro. Rossella>>
Scriveva Giovanni Falcone:
<<Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.>>
<<Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.>>
<<Non è retorico nè provocatorio chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori e uomini delle istituzioni dovranno essere uccisi perchè i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno in un paese civile.>>
<<Il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano i grandi movimenti di danaro connessi alle attività criminali più lucrose>>
«Credo dovremmo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine».
” Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere ”.
Questa é la nostra memoria.
Quella che non deve mai andare dispersa.
Ricordiamolo soprattutto ai più giovani.
Per non dimenticare, grazie
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