Processo di Polizia
DANIELE BIACCHESSI GAETANO LIGUORI MARCO PAGANI
PROCESSO DI POLIZIA
Foto Milano Casa di Alex
(Corrado Stajano, Il Messaggero,15 luglio 1979)
La storia del ragazzo Franceschi non conta solo per ieri,vale per oggi e per domani. E non riguarda solo la tarlata giustizia, ma il buongoverno nel suo complesso perché sono proprio inutili le generiche affermazioni da cui siamo continuamente travolti, se poi, in concreto, si usa solo indifferenza e non ci si scandalizza più dei fatti scandalosi.
(Stefano Rodotà, La Repubblica, 27 marzo 2004)
La democrazia non è soltanto governo “del popolo” ma anche governo ”in pubblico”. Per questo la democrazia deve essere il regime della verità, nel senso della piena conoscenza dei fatti da parte di tutti…La democrazia, la verità è figlia della trasparenza.Un grande giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, ha scritto: “ la luce del sole è il miglior disinfettante”.
(Dalla sentenza che ha chiuso la fase istruttoria del processo, dicembre 1976)
…I risultati delle prime indagini – quelle cioè destinate a raccogliere gli elementi più utili perché svolte “a caldo” quando le possibilità di dispersione o di inquinamento delle prove sono improbabili – furono deludenti o, peggio ancora, poco affidanti perché gravemente sospetti di interessata manipolazione. Questo grave handicap iniziale ha finito poi, nonostante ogni sforzo contrario diretto a neutralizzarlo, per pesare negativamente nell’ulteriore corso della formale istruzione, iniziata ad un mese di distanza dai fatti.
Roberto Franceschi frequenta il secondo anno della facoltà di Economia politica dell’Università Bocconi, tutti gli esami superati con ottimi risultati. Si sente portato per le materie che possono offrirgli validi strumenti di analisi della realtà contemporanea: economia politica, diritto, sociologia. E’ amato dai suoi amici e compagni perché è un ragazzo buono, generoso, brillante e serio. E’ stimato dai docenti e dal mondo accademico per la rigorosità del sapere e il forte impegno nello studio. Di quella Università, Roberto è uno dei giovani dirigenti del Movimento Studentesco. La sua è una naturale vocazione alla leadership. Possiede capacità dialettiche ma non è un dogmatico. Le sue idee sono chiare e definite, così come è tracciato il suo futuro di economista. Ovunque afferma i suoi ideali, nella vita privata e nella coerenza di una passione politica condivisa con migliaia di persone della sua età, a Milano e in tutta Italia.
Sera del 23 gennaio 1973. Università Bocconi di Milano. Gli studenti si preparano ad un’assemblea. Poco prima avevano chiesto l’agibilità di un’aula al Rettore Giordano Dell’Amore. Tra lui e i ragazzi resta ancora in vigore quella sorta di accordo non scritto, basato sulla parola e la reciproca fiducia, sempre rispettato nelle assemblee precedenti, fino all’ultima di quattro giorni prima. Ma quella sera è diverso. Per la prima volta, il Rettore non rispetta i patti, ordina il controllo degli studenti all’ingresso della Bocconi e vieta l’ingresso ai giovani provenienti da altri istituti. Cento poliziotti del terzo Raggruppamento Celere al comando del tenente Addante si schierano in assetto di guerra all’esterno dell’ateneo, all’angolo tra via Sarfatti e via Bocconi. Gli studenti sono stupiti perché non c’è nessun pericolo imminente che possa giustificare la loro presenza davanti all’Università. Iniziano i controlli dei tesserini ma …… Ma è impossibile controllare gli studenti tramite lo schedario degli iscritti all’Università. I giovani della Bocconi denunciano quindi la chiusura dello spazio di agibilità politica da parte dell’autorità accademica e della polizia. Invitano tutti a non accettare provocazioni e aggiornano l’assemblea. Sono le 22,30. Gli studenti abbandonano l’ateneo e si dirigono a piedi verso il Pensionato. Sono circa cinquanta. Tra loro c’è anche Roberto Franceschi. Il bidello Natale,dopo una ricognizione all’interno dell’ateneo, spegne le luci dell’atrio e chiude il portone. Dall’altra parte della strada, sono sempre fermi i plotoni dei poliziotti. Li comandano i brigadieri Vigliotta ed Esposito. Il tenente Addante si trova accanto ai due plotoni e il vicequestore Paolella lo rassicura: <<il servizio sta per terminare, tra poco torniamo in caserma>> All’esterno del Pensionato si radunano almeno duecento giovani, studenti dell’Università Statale e di altri istituti cittadini e operai.
Le 22,45. Alcuni se ne vannoe in molti rimangono. Tutto accade all’improvviso, in pochi minuti. Si avvicinano ai poliziotti, attaccandoli con urla, sassi e qualcheimprovvisata bottiglia incendiaria, ritirandosi immediatamente. L’azione è fulminea, una manovra agile e veloce, certamente non premeditata. Pochi secondi e si scatena l’inferno. La reazione della polizia è fuori da ogni ragionevole controllo. Gli agenti con caschi, scudi e manganelli rincorrono i giovani spostandosi rapidamente da via Sarfatti fin dentro a via Bocconi. I ragazzi fuggono veloci, voltando le spalle ai poliziotti. Ma ad un tratto, si sentono chiari e forti gli spari delle pistole in dotazione alle forze dell’ordine. Il rumore è assordante e riconoscibile. I colpi non sono a rapida successione. Peggio. Uno, due, tre, dieci, almeno quindici colpi di Beretta calibro 7,65, indirizzati dai poliziotti contro i giovani, alcuni ad altezza d’uomo. E nella confusione di quegli attimi, lo studente Roberto Franceschi viene centrato alla nuca e cade a terra vicino al terzo albero di via Sarfatti. Poco accanto, viene ferito alla schiena Roberto Piacentini, operaio della Cinmeccanica e militante del Movimento Studentesco. Un terzo colpo raggiunge la portiera di una 500 blu parcheggiata in via Bocconi. Roberto Franceschi è soccorso da quattro compagni e trascinatofin nell’atrio del pensionato. Perde molto sangue. Un medico e uno studente gli praticano il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Poi chiamano l’ambulanza ma le sue condizioni restano gravissime. Roberto Piacentini viene caricato su un auto e subito portato all’ospedale Policlinico. Roberto Franceschi morirà alle 15,25 del 30 gennaio 1973.
L’accertamento della verità è cosa lunga e paziente. Gravi depistaggi delle indagini avvengono in silenzio e nella totale impunità. Funzionari di pubblica sicurezza sottraggono alla magistratura inquirente prove importanti come decine di bossoli ritrovati in via Bocconi, manipolano caricatori e cartucce dei colleghi coinvolti nella sparatoria, modificano le loro testimonianze e le adattano nel corso del tempo ai risultati dell’istruttoria. Il sostituto procuratore della Repubblica di Milano di turno,viene all’inizio portato dall’altra parte della città, davanti ad un Pensionato che non é quello della Bocconi. Quando giunge finalmente all’Università si occupa delle persone fermate dalla polizia in seguito agli scontri. Scrive il giudice Ovilio Urbisci nella sua istruttoria:
Nel contesto delle interessate reticenze, dei burocratici palleggi di responsabilità (“non spettava a me riferire al Sostituto Procuratore della Repubblica”), delle dichiarazioni compiacenti o mendaci, delle distorsioni più o meno involontarie dei primi accertamenti, questo della manipolazione dei corpi di reato, rappresenta, senza dubbio, l’aspetto più inquietante del processo e quello che maggiormente ha ostacolato la completezza e la genuinità, delle indagini.
Dalla memoria degli avvocati della partecivile:
Franceschi e Piacentini sono caduti sotto i colpi a non meno di trenta metri dal punto in cui si trovava la prima jeep della colonna di polizia; Piacentini, anzi, è stato colpito a una distanza notevolmente superiore. Entrambi sono stati colpiti alle spalle. Sia gli accertamenti autoptici su Franceschi, sia le modalità note del ferimento del Piacentini escludono che i due giovani potessero essere in posizione diversa da quella della fuga. Non c’è testimonianza né rilievo di sorta che possano contraddire questa realtà.
10 maggio 1979. Dopo 6 anni si apre il processo per l’uccisione di Roberto
Primo processo penale.
Seconda Sezione della Corte d’Assise di Milano.
Presidente Antonino Cusumano,Pubblico Ministero Gino Alma.
Cinque imputati: l’ex agente del 3° Celere Gianni Gallo, il vice-brigadiere Agatino Puglisi entrambi accusati di omicidio preterintenzionale; il capitano di pubblica sicurezza, Claudio Savarese per falso, Sergio Cusani e Roberto Piacentini, che è anche parte lesa nel processo, per oltraggio a pubblico ufficiale e lesioni a danno del tenente Vincenzo Addante.
Vi leggiamo brani tratti dagli interrogatori di imputati e testimoni.
Se non fosse un processo per la morte di un giovane di vent’anni, ucciso dalle forze di polizia, sarebbe un grande pezzo della commedia dell’arte. Ma quello che sentirete è accaduto davvero in Italia.
Il presidente interroga l’agente Gallo e il vicebrigadiere Puglisi
Presidente
AgenteGallo, quando ha sparato contro gli studenti in fuga era in piedi o con un ginocchio a terra?
Gallo
Non ricordo quasi nulla. Cosa vuole, signor presidente, sono passato tanti anni… e poi, nel frattempo sono stato anche operato, ho passato mesi interi in ospedale. Mi chiedete quando ho sparato e in quale posizione ero? Vi dico che non so neppure se ho sparato davvero.
Presidente
Il tenente Addante disse:”hanno avuto il mio sangue, voglio il loro sangue”. Cosa successe dopo quella frase?
Gallo
Non ricordo……. Secondo me il Manzi ha sparato con la sua pistola e il Puglisi ha usato la mia.
Presidente (rivolgendosi al vicebrigadiere Agatino Puglisi)
Vicebrigadiere Puglisi lei conferma?
Puglisi
Non ho usato l’arma di Gallo ..é stato il tenente Addante.
Presidente
E’ vero Puglisi che Gallo per giustificarsi disse ad un certo punto la frase “Se un superiore ti chiede la pistola, che fai?
Puglisi
E’ vero
Presidente
Agente Gallo tutto ciò non stimola la sua memoria ?
Gallo
No ,non ricordo
Presidente
Eppure quella frase lei l’ ha detta, non è vero?
Gallo
Si, è vero l’ ho detta
Presidente
E’ bene agente Gallo che si ricordi le cose, finalmente! dica se qualcuno gli ha tolto la pistola !
Deve per forza essersene accorto
Gallo
Non so, non ricordo…
Presidente
E’ tempo di finirla con l’omertà. A costo di stare qui un mese a romperci la testa la verità deve saltare fuori. Che mi dice brigadiere Puglisi?
Puglisi
Sarebbe giusto che parlasse Gallo, che non èpiù della polizia.
Presidente
Ma lei, Puglisi, ha comunque sparato
Puglisi
Si ho sparato, ma ho sparato in ariacon l’arma dell’agente Manzi e quando vidi che il Gallo sparava a sua volta, ma ad altezza d’uomo, gli feci cadere la pistola
Presidente
E chi altro ha sparato oltre lei e il Gallo? E’ impossibile che abbiate sparato soltanto voi due
Puglisi
Io non lo escludo, però non ho visto
Presidente
Vuol forse proteggere qualcuno? Inoltre perché non raccolse l’arma che aveva fatto cadere dalla mano del Gallo ?E perché in seguito l’arma del Gallo e quella del Manzi furono manomesse?E chi fece sparire i15 bossoli rimasti sul terreno?
Puglisi
Io ho sparato in aria. Quanto al resto, signor presidente, ricordo che dopo la sparatoria arrivarono sul posto tre generali, il mio colonnello, il questore e funzionari dell’ufficio politico: non toccava a me prendere iniziative
Il Presidente congeda Gallo e Puglisi e chiama il capitano Claudio Savarese
Presidente
Capitano Savarese ci vuole spiegare perché nel suo ufficiola pistola del Gallo fu manomessa dopo gli spari, con l’inserimento nel suo caricatore di3 cartucce in supplenza di altrettante cartucce esplose?
Savarese
Ammetto di aver ricaricato l’arma irregolarmente ma ho agito per sola leggerezza, in buona fede
Presidente
Magari per solidarietà di corpo… Capitano Savarese cerchi di dare credibilità alla polizia
Savarese
Certamente se quella sera fossi stato io il responsabile del servizio mai nessuno avrebbe saputo chi impugnava le pistole, perché avrei dichiarato che tutti i miei cento uomini impugnavano le pistole
E’ la volta di Roberto Piacentini, l’operaio ferito alla spalla quella sera,rinviato a giudizio per oltraggio a pubblico ufficiale
Presidente
Signor Piacentini ci vuole ripetere quello che vide quella sera prima di essere ferito alla spalla?
Piacentini
Notai contestualmente due persone che esplodevano colpi di pistola, uno in divisa grigioverde, il quale nella posizione che indico sulla cartina aveva il braccio disteso in direzione degli studenti che fuggivano ed esplose due colpi…un altro che, partendo da dietro la camionetta parcheggiata dietro l’albero che si trovava a sinistra del passo carraio, venne avanti diagonalmente sul marciapiedi di via Sarfatti percorrendo uno o due metri, e quindi in tale posizione esplodeva un colpo di pistola, di costui vedevo il volto e il petto, aveva il cappotto blu delle guardiedi PS, mi parve abbastanza robusto. …i colpi esplosi furono moltissimi, tanto che sembravano raffiche
Poi la Corte interroga il Tenente Vincenzo Addante
Presidente
C’é qualcuno che l’ha sentito dire: “hanno avuto il mio sangue, voglio il loro sangue”. E’ vero?
Addante
Non ricordo
Presidente
Lei ha visto cadere Franceschi? Era lì, davanti a voi
Addante
Io non mi sono accorto di nulla
Presidente
Lei era il comandante…perché quando ha visto Gallo con la pistola non è intervenuto?
Addante
È stato il mio cruccio di sempre.
Presidente
Hanno sparato in molti. Se non è stato lei a dare l’ordine, chi è stato?
Addante
Non so. Ma quella sera ho visto il vicequestore Palella che impugnava una pistola
Un testimone oculare, l’avvocato Marcello della Valle che si presentò spontaneamente tre giorni dopo i fatti, conferma la sua deposizione:
Della Valle
Ho visto una persona, certamente in borghese, con un cappotto che mi pare essere stato grigio, senza cappello, che, trovandosi tra gli agenti in divisa e vicino alla camionetta col tetto bruciacchiato, gridando qualcosa all’indirizzo dei giovani dimostranti, sparava verso gli stessi diversi colpi di pistola che ho contato per 4 o 5.
Testimonia anche Italo di Silvio, che assiste dal balcone della sua abitazione alla scena della sparatoria
Di Silvio
C’era un funzionario in borghese, indossava un cappotto di lana scuro, aveva in testa una specie di elmetto con paracollo, era alto circa um metri e 65, un po’ curvo, sulla cinquantina, lo vidi estrarre dalla tasca del cappotto una pistola e a braccio teso esplodere colpi di pistola
Il presidente della Corte d’Assise Antonio Cusumano mostra al testimone le immagine scattate da un fotografo e lo invita a individuare il funzionario che avrebbe sparato.
Di Silvio senza esitazione indica un individuo
Il funzionario è questo, ritratto nella foto
Il presidente fa verbalizzare che si tratta del vicequestore Tommaso Paolella
Anche Rita Sacchi, Anna Baseggio, Giovanni Baldi e le sorelle Anna e Alice Bacigalupo, testimoni oculari, riferiscono di aver visto esplodere a braccio teso colpi di pistola al altezza d’uomo, da posizione avanzata rispetto agli altri poliziotti, da un funzionario in borghese.
Viene interrogato il vicequestore Tommaso Paolella.
Presidente
Lei quella sera era armato?
Paolella
Mai sono andato armato quando sono preposto a dirigere il servizio di ordine pubblico anzi, nemmeno quando la direzione di quel servizio risultava affidata ad altri. Anche quella sera ero disarmato
Presidente
Ma il tenente Addante dice di averla vista con la pistola in pugno al centro degli incroci con il casco in testa.
Paolella
Il tenente dice una spudorata menzogna per vendicarsi. Se la prese con me perché venne ferito ad un occhio.
Presidente
Ma anche alcuni civili dalle finestre delle loro abitazioni l’hanno vista sparare. Come facciamo a credere che lei non sappia nulla, non abbia visto nulla?
Sale sul pretorio Arcangelo Scarvaglieri, generale a riposo, all’epoca colonnello presso il 3° Celere.
Presidente
Generale Scarvaglieri lei ha firmato una relazione sui fatti del 23 gennaio 1973 indicando l’agente Gallo come l’unico sparatore? E’ vero?
Scarvaglieri.
Non avevo nessun motivo per dubitare della buona fede di Puglisi e credetti alla versione che mi fu fornita
Presidente
Perché non ha sentito altri agenti che erano presenti la sera del 23gennaio?
Scarvaglieri
Ho cercato di parlare anche con altri per appurare la verità
Presidente
Non mi risulta che ci siano verbali relativi
Scarvaglieri
Temevo di provocare in loro soggezione con un interrogatorio ufficiale.
Compare davanti alla Corte il Questore di Milano Ferruccio Allito Bonanno
Allito Bonanno
Quella sera, quando arrivò la notizia degli incidenti alla Bocconi io andai in questura, le prime notizie le ebbi dal colonnello Scarvaglieri. Mi disse che aveva sparato Gallo e che Puglisi gli saltò addosso e sparò alcuni colpi in aria con la sua pistola
Presidente
Lei ebbe sentore che qualche cosa non andava?
Allito Bonanno
No, le dichiarazioni di tutti coincidevano
Presidente
Eppure nel suo telegramma al ministro lei parlò di alcuni colpi di pistola, mentre a lei venne detto che ne erano stati esplosi solo due. Chi le parlò di altri colpi? La questione è importante, forse è lo stesso che ha manovrato le pistole…
Allito Bonanno
Non ricordo, sono trascorsi sei anni
Poi il capo della polizia Angelo Vicari afferma che la sua fonte è stata il questore Allito Bonanno, mentre il questore afferma che la sua fonte è stata il colonnello Scarvaglieri. Il colonnello Scarvaglieri afferma che crede alla versionedegli agenti. Gli agenti affermano di aver ubbidito ad ordini superiori. Ma allori chi accusa l’agente Gallo? Chi sostiene la versione ufficiale?
Bonanno scarica ogni responsabilità sul generale Scarviglieri comandante del 3° Celere nel 1973 e non sa neppure spiegare come mai dal fascicolo della questura sono scomparsi parecchi fogli e in alcuni ci sono diverse correzioni a mano.
Per avere una spiegazione sui fogli mancanti del fascicolo Franceschi, viene sentito il Maresciallo Celestino ed emerge che la Digos di Milano l’aveva ritirato dall’archivio della questura pochi giorni prima dell’inizio del processo.
Scrive Corrado Stajano nell’articolo “La credibilità delle istituzioni”:
La questura di Milano, Archivio di gabinetto,è costretta a consegnare alla Corte un allucinante documento:
“ Da un controllo ora eseguito all’atto della riconsegna del fascicolo Franceschi al maresciallo Comincini, si rileva che dagli atti risultano mancanti 22 fogli e nessuno in grado di fornire spiegazioni”
Sono tutti i verbali, le note, i documenti che riguardano quella notte del 23 gennaio 1973 quando fu ucciso Roberto Franceschi della cui morte le autorità di polizia accusarono l’agente Gallo. Perché far sparire tante carte compromettenti, con le notizie delle prime indagini eseguite dopo il fatto, se il responsabile della morte dello studente fosse stato effettivamente l’agente Gallo? Chi si vuol coprire?
13 luglio 1979
E’ il momento delle parti civili che sono ormai giunte alla conclusione che espongono in un breve scritto per la Corte
Nel rinunciare a concludere nei confronti degli attuali imputati di omicidio preterintenzionale, le parti civili ritengono di dover indicare alla Corte alcuni elementi di fatto che impongono la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda contro il vicequestore Tommaso Paolella….
Sulla morte di Roberto Franceschi, così ha risposto la giustizia italiana.
Primo processo penale 18 luglio 1979
Agatino Puglisi e Gianni Gallo, assolti per non aver commesso il fatto. Assolti per insufficienza di prove e amnistia.Sergio Cusani e Roberto Piacentini. Gaetano Savarese e Agatino Puglisi condannati ad un anno e sei mesi di reclusione per aver falsificato il verbale relativo al sequestro delle armi.
Sentenza confermata in Corte d’Assise d’Appello e successivamente in Cassazione.
Secondo processo penale nei confronti del vicequestore Tommaso Paolella
5 giugno 1984Assoluzione del vicequestore Tommaso Paolella per insufficienza di prove.
22 aprile 1985 in Corte d’Assise d’Appello: Assoluzione del vicequestore Tommaso Paolella per non aver commesso il fatto.
Al termine dei processi penali, Lydia Franceschi si dimette da preside:
Signor Ministro della Pubblica Istruzione
Viale Trastevere N.76 A
00153 Roma
e p.c Signor Provveditore agli Studi
Corso di Porta Romana
00122 Milano
Signor Ministro,
dopo la morte di mio figlio Roberto, ucciso nel gennaio del 1973 da un proiettile sparato dalla polizia, ho detto: il dolore è nostro ma la verità appartiene a tutti.
Sono stata profondamente convinta di questa affermazione e, nel corso degli anni, ho volutamente ignorato l’ironia di quanti mi ritenevano un’illusa nella mia ostinata volontà di sottrarre Roberto alla tragica logica di una giustizia che ha sempre finito per lasciare impunite le responsabilità delle forze dell’ordine.
Oggi, dopo la sentenza della Corte d’assise d’appello che ha concluso un lungo e perverso iter giudiziario con l’assoluzione anche dell’ultimo imputato per non aver commesso il fatto, temo di dover aggiungere che la verità appartiene sì a tutti, ma non al nostro Stato democratico; a questo Stato in cui si può ancora agire a livelli istituzionali con omertà e con menzogna per sconfiggere la giustizia.
In questo Stato, signor Ministro, non sono più capace di tornare a scuola dai miei ragazzi e continuare a educarli alla dignità di cittadini.
Per il rispetto che porto nei confronti dei giovani, di mio figlio, della mia famiglia e di me stessa l’unica risposta dignitosa che so ancora trovare dentro di me sono le dimissioni dal mio ruolo di preside. E’ una decisione sofferta, anche perché la scuola, con i suoi problemi quotidiani, dopo la morte di mio figlio è stata il luogo dei miei disperati sforzi per dare ancora senso alla vita accettando, con qualche serenità, i giorni che restano.
Voglia quindi ricevere le mie irrevocabili dimissioni, a partire dall’inizio del prossimo anno scolastico.
Mi creda, sua Lydia Franceschi.
Solo la prospettiva di non disperdere il patrimonio di valori e di solidarietà formatasi nel tempo intorno alla memoria di Roberto e di mantenere culturalmente viva la sua figura attraverso l’opera di una Fondazione, convince la famiglia ad agire in sede civile contro il Ministero dell’Interno per il risarcimento del danno.
Così è scritto nell’ultima sentenza civile del 20 luglio 1999:
……..Può ritenersi pienamente provato che il proiettile estratto dalla nuca di Franceschi Roberto fu esploso dalla pistola in dotazione all’agente di Polizia Gallo Gianni, che la pistola fu impugnata ed il colpo sparato da una persona appartenente alle forze dell’ordine e che l’uso dell’arma, lungi dall’essere un episodio isolato, si inquadra in un ricorso generalizzato all’impiego delle armi da fuoco nei confronti di manifestanti che si stavano allontanando dal cordone costituito dagli agenti e, quindi, in assenza dei presupposti che ne potessero far ritenere legittimo l’uso…..
Il risarcimento è stato riconosciuto.
La verità ostinatamente negata
Testimonianza inviata al Presidente Antonino Cusumano da Hans Strossel, Presidente del Tribunale Regionale di Wurzburg, Germania.
Ho conosciuto Roberto Franceschi nell’estate del 1970. Allora ci eravamo dichiarati disponibili ad accogliere uno studente italiano e ci venne assegnato Roberto.
Come giudice ho sufficiente conoscenza degli uomini, da potermi permettere un giudizio sull’uomoRoberto Franceschi.
Poiché, sin dal primo incontro con noi, parlava molto bene il tedesco, abbiamo conversato e discusso a molto. Abbiamo avuto molti scambi di idee, anche fino a notte inoltrata, sui problemi del nostro tempo.
Mi resi presto conto che Roberto era un uomo con un talento veramente straordinario.
Le sue capacità intellettuali erano eccellenti; il suo sapere era vasto, ben fondato e in continua espansione.
I pregi del suo carattere erano alla pari in tutti i modi col suo intelletto.
Era un uomo di tatto che sapeva trattare con persone della natura più diversa.
Anche il suo lavoro sulla lingua tedesca era esemplare.
Roberto viveva con gli occhi ben aperti sulla realtà e sapeva riconoscere con sorprendente chiarezza, rispetto alla sua giovane età, i gravi disagi sociali..
Il suo obiettivo era di aiutare i poveri e i deboli con il suo impegno politico e, in futuro, professionale in maniera da contribuire a un vero cambiamento nel suo paese.
Qui da noi cercava in ogni momento di arricchire il suo già sorprendente bagaglio di conoscenza sulle condizioni sociali dei diversi strati della popolazione, facendomi domande sulle nostre condizioni di vita, sul nostro sistema di assicurazione sociale, sulla mutua, gli infortuni, le pensioni e le assicurazioni per i disoccupati.
Non nascondeva che riteneva molti dei più importanti politici della DC corrotti e interessati al proprio vantaggio e non a quello dei poveri e dei socialmente deboli. Era convinto che non ci sarebbe stato nessun cambiamento fondamentale sotto quel governo.
Non gli ho mai chiesto a quale partito italiano si sentisse legato. Era tendenzialmente di sinistra, ciò fuori dubbio, e sapeva che io sono un uomo di centro o meglio di centro sinistra.
Parlando con lui degli interventi dell’armata sovietica in Ungheria e in Cecoslovacchia, so che egli li rifiutava fermamente. Roberto guardava alla libertà individuale di ogni uomo come sommo bene e respingeva qualsiasi regime totalitario
La violenza era assolutamente estranea alla sua personalità; credeva al potere di convincimento della parola e agiva secondo un giudizio meditato, seguendo le sue opinioni.
Opportunismo, vie di mezzo, indifferenza meritavano il suo disprezzo.
Un giorno si fece descrivere da me lo sviluppo delle condizioni politiche in Germania dopo il 1933 ed era profondamente impressionato dallo sviluppo e dall’ orribile perfezione raggiunta dalla Gestapo
Era fiero della sua nazione e convinto che una simile via, dopo l’esperienza del fascismo, in Italia non era possibile.
Roberto era un partner di discussione pressoché ideale. Sapeva ascoltare con pazienza, sapeva soppesare accuratamente e sapevaesporre con grande capacità dialettica la sua opinione. Conciliante nel tono, ma deciso nel contenuto.
La morte di Roberto ha toccato profondamente me e tutti coloro che qui lo conoscevano, perché lo amavamo per i suoi valori umani, perché vedemmo morire con lui un simbolo della speranza.
Roberto al ritorno dalla manifestazione per la pace ,contro la guerra nel Vietnam, svoltasi a Parigi nell’ottobre 1972 scrive:
“ lo sdegno del mondo di fronte agli attacchi abominevoli e bestiali di Nixon contro il popolo inerme, l’eroica risposta delle genti vietnamite, non è altro che la contrapposizione del sentimentoa una scienza perfezionatissima, che però si basa sul più completo oblio della realtà.
L’unione profonda tra razionalità e spirito eroico, tra la considerazione scientifica e obiettiva della realtà e la forza dirompente dell’umanità che si fonde sul sentimento più articolato dell’amore: ecco la grande immagine che mi dà il socialismo nella sua formulazione teorica e nella pratica quotidiana delle genti che si sono incamminate lungo la strada della sua costruzione.”
Tagged: ambiente, anpi, arci, bocconi, cinema, costituzione, franceschi, gang, impastato, letteratura, libri, liguori, mafie, memoria, polizia, priviero, processo, radio, reading, resistenza, scrittore, teatro