RADIO ON LIBRO
RADIO ON IL LIBRO
Perché Radio On
Daniele Biacchessi
Il disco di lacca si appoggia delicatamente sul piatto e prende subito i giri giusti.
Il motorino, attraverso la cinghia, lo fa muovere a 33 e un terzo di giri al minuto.
Il suono del disco che cade sul piatto è un sospiro veloce, che sa appena un po’ di polvere.
Il suono del braccio che si stacca dalla forcella è un singhiozzo trattenuto, come uno schioccare di lingua di plastica.
Il brano musicale viene riprodotto tramite una puntina in diamante inserita nella testina che, durante la rotazione, trasmette per via meccanica le irregolarità del solco inciso sulla superficie del disco a un complesso elettromagnetico, che trasforma il movimento in corrente elettrica.
La puntina, strisciando nel solco, sibila pianissimo e scricchiola, una o due volte, e fa uscire dagli altoparlanti e dalle cuffie solo musica.
Ed ecco il microfono tenuto da un’asta e da una maglia a raggiera per stabilizzarlo e proteggerlo dalle vibrazioni.
Ed ecco il lettore, con i lead che illuminano i numeri digitali, le tracce del cd, i secondi che mancano alla fine del brano, i tasti play, pause, stop, rewind, fast forward, l’espulsione del carrello .
Il mio primo brano che gira sul giradischi di “Radio Lombardia” nel 1976 è “Volunteers” dei Jefferson Airplane.
L’ultima canzone non l’ho ancora suonata.
Così come l’ultimo editoriale di politica, l’ultima diretta di cronaca, l’ultimo giornale radio scritto e letto, l’ultima inchiesta, l’ultimo reportage non sono ancora stati trasmessi.
43 anni di radio che mi porto sulle spalle, dal 1976 ad oggi.
“Radio Lombardia”, “Radio Regione”, “Radio Occhio, Radio Rai 1 e 3 (“Blu note”, “Noi in Lombardia”), “Radio Popolare”, “Trm2”, “Italia Radio”, “Radio 24 – Il Sole 24 ore”.
Una passione straordinaria che avevo coltivato fin da ragazzo, nei primi dei Settanta, quando di sera, al buio, nella mia cameretta, ascoltavo a basso volume il flusso musicale di “Radio Luxembourg”, e di pomeriggio, le voci calde di Carlo Massarini, Massimo Villa, Claudio Rocchi, Raffaele Cascone, Paolo Giaccio, Mario Luzzatto Fegiz a “Per voi giovani”.
Non c’è un momento preciso in cui inizia il mio amore per quella strana scatola con le valvole e le manopole che si chiama radio. Almeno non lo ricordo.
Alcuni di quei programmi li registro sulle bobine del “Geloso” e le conservo ancora in qualche cassetto.
E so che ad un certo punto i suoni, la musica, le parole che escono da un apparecchio di ricezione delle onde medie e corte, mi appaiono d’improvviso come fossero magici.
Chiudo gli occhi, sogno, immagino, e solo pochi anni dopo, mi trovo proprio davanti ad un mixer e a un microfono. Per scelta.
Da quel momento non mi sono più fermato.
Ho visto le audiocassette trasformarsi in bobine, e poi in file ingombranti di vecchi e obsoleti computer, in mp3 compressi dagli ultimi ritrovati della tecnologia moderna.
Ho visto i registratori a cassetta fondersi nei mitici “Revox” e “Nagra” a bobine, poi negli anni nei masterizzatori cd, nei minidisc, nei “Dat” (“Digital audio tape”), e ancora in aggeggi digitali che trasformano in tempo reale la voce in una diretta radiofonica di alta qualità sonora, attraverso sofisticate app per smartphone collegate alla rete a banda larga, praticamente studi mobili digitali reperibili a costi a portata di borsellino.
Ho visto trasmettitori auto costruiti e quarzati con potenze irrisorie, oggetti militari da campo acquistati al mercato di Camp Darby a Pisa, divenire amplificatori con potenze spaventose, valvole tramutate in transistor.
Ho visto antenne, poco più che ferraglie montate dai ragazzi sui tetti di palazzi diventare congegni di trasmissione formidabili, e vecchi ponti radio della “Sip” mischiarsi in apparati per up link satellitari.
Soprattutto ho raccontato i fatti mentre accadono, a volte con l’orecchio appiccicato alla cornetta di telefoni piazzati in cabine di tutta Italia, la cui linea sporca veniva interrotta da vecchi gettoni in rame con la scanalatura in mezzo, e poi con le “Cepar”, i “Telepan”, i “baldazzometri”, e ancora con i primi cellulari pesantissimi, e ora con l’ausilio di smartphone di ultima generazione.
43 anni che non sono ancora finiti.
Dai programmi di musica popolare di ogni parte del mondo, al rock inglese e americano, al progressive, alla vecchia e nuova psichedelia, al jazz, alla fusion, all’avanguardia.
Dagli spazi di cultura e spettacolo alla cronaca nera, alla giudiziaria, alla politica.
Dall’incidente all’Icmesa di Seveso alla controinformazione sul duplice omicidio di Fausto e Iaio, al caso Sofri, al viaggio di 10mila chilometri nell’ambiente negato in Italia.
Dall’eccidio alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 alle inchieste sulle bombe nere della strategia della tensione dei Settanta, alla strage di Ustica del 27 giugno 1980, al ritorno delle “Brigate Rosse” con gli assassini di Massimo D’Antona e Marco Biagi, agli omicidi di Roberto Franceschi, Giorgiana Masi, Walter Tobagi, Peppino Impastato, alle morti di Ilaria Alpi e Miran Krovatin, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni, Raffaele Ciriello, Antonio Russo, alle ultime indagini sui 30mila desaparecidos argentini e sul cosiddetto “Plan Condor”, fino al recupero delle storie partigiane e della memoria della Resistenza italiana.
Dal terremoto in Irpinia (1980), a quello in Umbria (1997), dalle alluvioni del Piemonte (1994), e di Sarno (1997), ai reportage sulle periferie delle città, sulla criminalità organizzata (Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta, Sacra corona Unita, mafie straniere), fino alla grande passione per l’analisi politica e parlamentare.
E molto altro ancora, tra radio, libri, teatro, cinema, televisione, carta stampata, web.
43 anni di storie raccontate con la passione di chi resta dalla stessa parte, quella degli ultimi.
E il viaggio è solo all’inizio, ma quello che leggerete non è una biografia che magari scriveranno altri, se ne avranno voglia, dopo.
Questo libro racconta una stagione straordinaria e irripetibile a cui faccio parte.
E per descriverla ho chiesto a decine di amici e colleghi la loro importante testimonianza, una verifica di memoria, un esercizio di stile.
Sono i ricordi di persone che hanno costruito la grande impresa: trasformare un sogno in una opportunità di espressione democratica, di lavoro giornalistico e artistico, di sviluppo economico per migliaia e migliaia di persone.
Perché una storia così doveva essere narrata al presente, con una sola voce, come un bene unico e comune.
Per noi la radio resta ancora la strada, maestra di vita e di incontri personali e professionali.
Ci si muove da qui, dai microfoni di una radio, per andare lontano e per portare tutto quello che si è visto, imparato e narrato a casa.
Per poi raccontarlo di nuovo a qualcuno, come oggi in questo libro, domani in un altro viaggio da fare insieme.
Chissà.